Le sagre occupano un posto speciale, non solo per i sapori locali che permettono di scoprire, ma anche per il curioso patrimonio linguistico che tramandano. Spesso il nome stesso della sagra è già un invito al viaggio, tanto gastronomico quanto culturale. Accade così che, leggendo una notizia in calendario o soffermandosi di fronte ad uno dei tanti manifesti fluorescenti lungo la strada, si finisca per chiedersi cosa sia un bico o una tarese, senza sapere che si sta parlando di una focaccia rustica della zona senese cotta ancora oggi sulla brace o di un tipo di pancetta stagionata che si trova solo in Valdichiana.

Nomi curiosi e sapori toscani

Le sagre della Toscana offrono alcuni tra i nomi più insoliti ed affascinanti. Se tutti conosciamo la sbriciolona ovvero quel particolare tipo di finocchiona morbida celebrata in quel di Pratolino dall'omonima sagra, magari si tentenna sulla ficattola prima di scoprire che si tratta di pasta fritta tipo coccolo (un altro termine curioso ma ormai famossimo) che si gusta tra Firenze e Prato.

Basta però allontanarsi dalla propria provincia che i nomi delle sagre diventano più enigmatici: cosa si mangia alla Sagra della rovellina o del ciaffagnone (Grosseto), a quella del panigaccio (Massa Carrara), a quella dello stringozzo (Arezzo) o alla Sagra del bordatino (Pisa)? Se non lo sapete ve lo dico io: la rovellina alla maremmana è una braciolina fritta e ripassata in salsa di pomodoro e capperi; il ciaffagnone è una crespella molto sottile mentre il panigaccio è un pane cotto in testi di terracotta, ed entrambi vengono serviti con salumi e formaggi; gli stringozzi sono pasta fresca simile agli spaghetti ma più spessa, mentre il bordatino è una zuppa povera a base di cavolo nero, fagioli e farina di mais.

Panigacci
I tipici panigacci di Podenzana, in Lunigiana

Dal nord al sud: un dizionario di sapori

E questo solo in Toscana. Se ci allarghiamo al resto d'Italia, da nord a sud, isole comprese, le sagre ci fanno scoprire moltissimi altri antichi termini locali che hanno resistito al tempo: dai malfatti lombardi (gnocchi) alla cuccia palermitana (dolce a base di grano bollito), dalla paposcia pugliese (focaccia) al cuddiruni siciliano (focaccia ripiena), dal fallacciano laziale (una varietà di fico) alla pitina friuliana (polpetta affumicata e speziata).

La Sagra del fricandò celebra uno stufato abruzzese di verdure, quella del catanazzo una ricetta campana di trippa e piselli. Alla Sagra del pult si mangia invece una sorta di polenta di farina di castagne, condita con latte o formaggi.

E potremmo andare avanti all'infinito.

Un vocabolario del gusto

Partecipare a una sagra significa insomma anche ampliare il proprio vocabolario del gusto e scoprire le mille piccole storie nascoste dietro ad ogni specialità locale. Si tratta di un arricchimento che va ben oltre il palato, perché ogni parola - talvolta intraducibile - racconta un'identità, un modo di vivere e di cucinare tramandato da generazioni.

Parole che non sono semplici curiosità linguistiche: racchiudono la cultura, la storia e le tradizioni di un territorio. Ed in un'epoca in cui la globalizzazione tende ad appiattire le differenze, ecco che le sagre rappresentano un importante baluardo di (gustosa) diversità culturale.

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Indro Neri
Indro Neri

Fiorentino, editore, scrittore e giornalista, Indro Neri collabora regolarmente a riviste, siti Internet e blog, ed ha al suo attivo numerosi libri. Appassionato di viaggi e di storia della gastronomia italiana e straniera, è stato ospite di Rai Uno e Rete 4 in veste di esperto di trippa nel mondo ed è tuttora regolarmente invitato a presenziare fiere, concorsi ed eventi gastronomici sul quinto quarto.